SERVIZIO CIVILE UNIVERSALE
Bando Pro Loco Cornigliano

Cosa è il SERVIZIO CIVILE UNIVERSALE

Home – Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale

Il servizio civile è un’attività di volontariato a cui possono partecipare tutti i giovani, per mettersi a servizio della società. Nello specifico si può svolgere servizio civile presso i Comuni, presso i Vigili del Fuoco, presso gli ospedali, la protezione civile, enti della Pubblica Amministrazione, Onlus, insomma tutti contesti dove è possibile dare il proprio apporto alla comunità.  Il servizio civile è un lavoro? No, il servizio civile non è un lavoro. E’ un anno di tempo che scegli volontariamente di dedicare alla comunità. È comunque retribuito con uno “stipendio” di 433,80 euro al mese. Diciamo “stipendio” giusto per intenderci, perché in realtà è un contributo che lo stato eroga in virtù della tua collaborazione. Infatti, non è tassato: i 433,80 euro sono lordi e netti, visto che non si applica IRPEF.
IN SINTESI I NOSTRI 3 PROGETTI
Parco Urbano delle Mura, sentieri e Forti

Il magnifico paesaggio dell’Area Naturale Protetta d’interesse locale “Parco delle Mura” deve il suo nome alle Mura
Nuove, erette nel Seicento a maggior difesa della città e del suo bacino portuale; queste sono ancora ben conservate e
circondano Genova in un abbraccio alto e quasi invisibile per chi vive e si muove giù in basso, nelle vie del centro. Sono
un monumento urbanistico e storico unico e prezioso e costituiscono un magnifico luogo di incontro fra la città e la
natura – a tratti selvatica e selvaggia – che la circonda. Il Parco dal 2008 tutela 617 ettari di colline a cavallo fra la val
Bisagno e la val Polcevera, le principali valli cittadine.
Oltre alle Mura seicentesche il Parco comprende alcuni forti militari costruiti fra il XVII e il XIX secolo e tutela i valori
naturalistici di quest’area in cui vivono alcune specie animali e vegetali protette perché rare o endemiche.
Il percorso classico inizia dal capolinea superiore della funicolare (Righi) e prosegue verso i Forti Castellaccio e Sperone,
a 450 mt. di quota; già da qui la vista si apre su tutta la città e la natura è sovrana. L’escursione può ora continuare
verso l’ottocentesco Forte Begato che domina la Val Polcevera, o verso l’interno per raggiungere il piccolo Forte Puin
ed il magnifico Forte Diamante, posto a 660 mt. di quota, il più alto ed isolato del Parco.
L’itinerario attraversa pascoli, prati, boschi, ruderi di un passato agreste e pastorizio. Dal sentiero principale si
distaccano, inoltre, deviazioni che permettono il collegamento con altri percorsi e consentono di modulare la visita a
seconda delle singole esigenze di tempo, difficoltà ed interesse.
Da ricordare a proposito il collegamento con la Ferrovia Genova-Casella, che connette l’area dei Forti con il centro
città tramite la fermata di “Campi”.
Lo storico impianto a scartamento ridotto della ferrovia si snoda lungo un affascinante e panoramicissimo percorso
immerso nel verde e rappresenta, assieme alla già citata funicolare, il mezzo di trasporto più comodo e pittoresco per
la vostra gita. È possibile scoprire il percorso del Parco Urbano delle Mura e dei Forti attraverso visite guidate,
accompagnati da una guida escursionistica esperta. (fonte Visit Genoa)
Acquedotto storico di Genova

L’acquedotto storico di Genova è un’antica struttura architettonica situata nella val Bisagno, che ha garantito per secoli
l’approvvigionamento idrico del comune di Genova e del suo porto. Ha inizio dal comune di Bargagli, nell’alta valle, e attraversa per
intero i quartieri di Struppa, Molassana, Staglieno e la circonvallazione a monte, nel quartiere di Castelletto, dove si divide in due
rami che terminavano nei pressi del porto antico, uno alla darsena e l’altro all’altezza della ripa, in piazza Cavour, dopo aver
alimentato la grande cisterna di piazza Sarzano.
Oggi l’acquedotto si configura come un percorso pedonale lungo circa ventotto chilometri, in uno scenario rilevante sotto moltissimi
punti di vista: dalle architetture civili e monumentali di cui abbiamo esempio nel ponte canale sul rio Torbido o nel portale del
Barabino alla Rovinata, all’archeologia industriale del ponte sifone sul Geirato e del suo gemello sul Veilino, dalle passeggiate nel
verde del tratto Pino sottano – Trensasco alla gola di Fossato Cicala, scoprendo continuamente come l’acquedotto si è trasformato e
mimetizzato giungendo nel centro cittadino.
Storia dell’acquedotto romano
Le origini dell’acquedotto storico di Genova risalgono alla conquista romana dell’area. La val Bisagno sin da quell’epoca ha fornito
l’acqua potabile alla città di Genova per le necessità degli abitanti e per il rifornimento delle navi. Durante il percorso l’acqua era
utilizzata anche come forza motrice di molini e opifici.
Benché non ne siano rimaste tracce archeologiche, gli storici sono abbastanza concordi nel ritenere che nell’area di Molassana,
intorno al 200-150 a.C., tra il “Giro del Fullo” e il monte Montanasco, avvenne la prima captazione di acque dal Fortor (il nome
latino del Bisagno), arricchite dai corsi d’acqua provenienti dalla val di Lentro e da altri affluenti minori. Sulle alture sopra il Giro del
Fullo una cascata formava il Lacus Dragonarius, dal quale l’acqua veniva portata mediante fossati e condotte fino al piano di
Sant’Andrea effettuando un percorso di sette chilometri. Gli studiosi della fine dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento attestavano
ancora di poter individuare alcuni resti dell’antico acquedotto romano. Tuttavia essi sono stati distrutti durante le grandi opere di
urbanizzazione del primo Novecento. Oggi l’unico rudere rimasto dell’acquedotto romano si trova nel quartiere di Staglieno, in via
delle Ginestre.
L’acquedotto medievale
Lo sviluppo del porto e dell’abitato indussero nei secoli successivi i governanti a ricercare più copiose sorgenti in altura. Il primo
tracciato dell’acquedotto medievale captava le acque del torrente Veilino, affluente del Bisagno, sopra la necropoli di Staglieno.
Questo primo acquedotto medievale consisteva in un canale a pelo libero con pendenza costante del 2‰. Secondo alcuni studiosi fu
realizzato già attorno al 1050, prima ancora della nascita della Compagna Communis, ma la prima attestazione scritta
dell’acquedotto risale al 1295 e si riferisce alla Presa Poggetti sul Veilino.
Nel 1355 il punto di inizio dell’acquedotto venne spostato a monte presso la frazione di Trensasco e il nuovo ramo dell’acquedotto fu
realizzato da Marin Boccanegra, della famiglia del capitano del popolo Guglielmo. Contemporaneamente venne ampliato il canale
nella parte bassa e venne costruito il ponte canale di Sant’Antonino, ancor oggi visibile vicino al casello autostradale Genova Est.
La penuria idrica portò nel 1491 alla creazione del Magistrato delle acque, che preparò una specie di piano regolatore volto
all’incremento delle risorse innanzitutto sul tratto esistente, mediante la costruzione di canali laterali per captare ulteriori corsi
d’acqua. Alla fine del medioevo, oltre alle prese di Presa Poggetti e di Trensasco funzionavano le prese di Sant’Antonino (XII secolo),
Campobinello (XIII secolo), Cicala (1350), Figallo e le due di San Pantaleo.
L’acquedotto nell’età moderna
Successivamente, il magistrato delle acque provvide al prolungamento dell’acquedotto da Trensasco alla frazione La Presa
di Bargagli, deciso nel 1623 e attuato in pochi anni. La località si chiamava in precedenza “Schienadasino” e venne chiamata “La
Presa” proprio perché era diventata il principale luogo di captazione dell’acquedotto cittadino.
In città l’acquedotto si divideva in due rami: quello principale (detto di Ponente o di Castelletto) entrava in città dall’attuale Piazza
Manin, da dove proseguiva fino a Castelletto seguendo il tracciato che sarà poi ripreso dalla Circonvallazione a Monte. Di qui
scendeva in via Cairoli e di qui a Porta dei Vacca. Poi seguiva la linea di costa (l’attuale Sottoripa) per finire alla Fontana del
Cannone nel Molo Vecchio. Il ramo secondario (detto di Levante o delle Fucine) si staccava all’altezza dell’attuale corso Magenta e
scendeva verso il convento dei Cappuccini, salita Santa Caterina, Porta Soprana, passava per il colle di Sarzano per finire alla
cisterna delle Grazie, presso la Chiesa di Santa Maria delle Grazie la Nuova[1].
Appena entrato in funzione, nel 1641, il giro del Geirato presentava gravi problemi di stabilità. Attorno al 1650 G.B. Costanzo
propose l’abbandono del giro. Il 16 gennaio 1660 il magistrato deliberò la costruzione del ponte sifone del Geirato, che sarebbe
stato il primo ponte sifone della storia. Nello studiarne il funzionamento, ingegneri genovesi ebbero lunghi carteggi con Galileo
Galilei, carteggi di cui si ha testimonianza.
Le vicende di questa opera, tuttavia, appaiono incredibili: si aprì una discussione tra architetti che durò centododici anni fino
al 1772. In soli cinque anni il ponte con le sue ardite arcate venne infine costruito. Ma solo nel 1793, dopo innumerevoli problemi
dovuti alla scarsa tenuta delle tubature alla pressione, l’acqua del Geirato poté finalmente giungere a Genova.
Nel 1825 sotto la direzione di Carlo Barabino si captarono anche le acque del rio Torbido. Carlo Barabino realizzò un ponte sifone
che tagliava la valletta del Veilino, scavalcando il cimitero monumentale di Staglieno con poche arcate, su cui correva la tubazione
in ripidissima discesa e risalita, tagliando il lunghissimo percorso di costa del precedente acquedotto medioevale. Per più di cento
anni il ponte sifone ha rifornito Genova.
Tratti residui dell’acquedotto storico
Durante i secoli di attività dell’acquedotto storico si resero necessarie opere murarie a sostegno dei canali. Gli amministratori si
affrettarono ad intrecciare il bisogno della funzionalità e del trasporto di ingenti quantità di acqua con l’arte, dando vita ad opere
di architettura ancora presenti nel capoluogo ligure e inserite nel panorama urbanistico della Valbisagno e del centro storico. Le
testimonianze si ritrovano nei ponti e nelle arcate (Cavassolo, Rio Torbido, Geirato, Ronco, Trensasco, Cicala, Preli, Veilino,
Sant’Antonino, Briscata, Casamavari, Burlando, Manin, Palestro, Caffaro, Castelletto, Acquasola, Sarzano, Caricamento,
Mandraccio).
La storia dell’acquedotto è il racconto di una civiltà che ha espresso grandissimi architetti e ingegneri come Claudio Storace, Matteo
Vinzoni, Carlo Barabino. I portici di Sottoripa sono costruiti sulle arcate dell’acquedotto che portava acqua alle navi ed anche i
palazzi in cui hanno sede a piazza Corvetto l’amministrazione della città metropolitana di Genova e la prefettura, la porta dei Vacca,
la fontana di Piazza Sarzano, le mura dell’Acquasola e il Campo Pisano sono pezzi storici di Genova realizzati su strutture del
condotto.
L’acquedotto storico di Genova conserva ancora intatti molti dei suoi tratti. In val Bisagno abbiamo una serie di ponti e arcate a
cominciare dai mulini di Davagna, passando da Struppa, Molassana, San Gottardo e Preli per arrivare alle parti rimaste nella zona di
Staglieno, interrotte queste ultime dalla costruzione dell’attuale casello autostradale.
In questa zona l’acquedotto del XIII secolo si affianca alle nuove strutture del ponte-sifone progettato da Carlo Barabino, che
scavalca il cimitero di Staglieno.
L’ingresso in città dell’acquedotto corrispondeva con l’iniziale percorso della circonvallazione a monte, presso la piazza Manin: ne
resta almeno un passaggio, con le originarie arcate inglobate nei terrapieni della ottocentesca strada.
Entrando in città esso passava, sin dal XIII secolo, sul percorso delle mura del Barbarossa, dove è tuttora visibile, assieme alle serie di
bocchette (i chiusini metallici che si trovano alle varie prese individuali nel muraglione.
Tratti superstiti sono in vico ai Forni di Castelletto (sopra la piazza della Zecca), nel ponte che attraversa la salita di San Gerolamo
presso Castelletto, e, dalle parti della porta Soprana, nei resti di bocchette chiuse nella cisterna sotto le mura, cisterna trasformata
in vano scala per accedere alle torri durante i restauri iniziati dall’architetto Alfredo d’Andrade.
Altri tratti sono sui resti delle mura, molto rimaneggiate, dietro al palazzo della prefettura (salita Di Negro, presso la villetta di
Negro), dove il condotto passava su ampi arconi, attraversando l’allora convento di Santa Caterina.
Altro tratto era quello lasciato in parte dei portici di Sottoripa.
La riqualificazione dell’acquedotto storico
La trasformazione della strada dell’acqua abbandonata in struttura ambientale diviene il sogno di sportivi amanti della natura e
dell’aria pulita. Università, associazioni, comitati, promuovono iniziative per il recupero. Nel 2001 in occasione del G8 a Genova i
progetti sono inseriti nelle priorità dall’amministrazione comunale.
Nel 2004, anno di Genova capitale europea della cultura, viene ristrutturato il ponte sifone del Veilino (anch’esso opera di Barabino).
Sebbene i lavori non siano ancora definitivi si è conclusa all’inizio del 2007 una prima parte della ristrutturazione del lotto del
Geirato. Questo primo intervento permette tuttavia di accedere al ponte, rimasto inagibile per decenni, nonostante la sua
caratteristica strategica di collegare i percorsi interrotti tra Prato e Staglieno e nonostante la rilevanza del manufatto dal punto di
vista dell’archeologia industriale: i tubi risalgono alla primissima rivoluzione industriale inglese.
Oggi il canale in pietra dove scorreva l’acqua è il camminamento per un itinerario escursionistico frequentatissimo dalle famiglie
genovesi e ancora sconosciuto alla grande massa dei turisti. Il completamento della sua ristrutturazione è un tassello importante
per l’allargamento del turismo nel capoluogo ligure al turismo di tipo escursionistico, da cui trarrebbe beneficio lo stupendo e spesso
sottovalutato entroterra genovese.
La possibilità di una promenade-parco a mezza costa tra la vallata e il parco dei Forti di Genova (che toccano e attraversano una
parte della val Bisagno) arricchisce la prospettiva di crescita della città e della provincia ed è una necessità dal punto di vista storico culturale dato il valore e la bellezza dell’opera.
L’8 ottobre 2006 si è svolta la prima grande festa dell’Acquedotto in cui i volontari delle diverse associazioni si sono adoperati per
ripulire tratti significativi del percorso e le aree limitrofe, coinvolgendo la cittadinanza con gite e stand gastronomici. L’intendimento
è quello di ripetere annualmente la manifestazione.

VALLETTA RIO ST PIETRO (Cornigliano ligure)
COLLASSO E POTENZIALE RIANIMAZIONE DEL PIU’ GRANDE PARCO PUBBLICO, URBANO BOSCHIVO NATURALE DELLA CITTA’

Di Alessandro Micelli per Pro Loco Cornigliano ligure
All’inizio dell’anno 2020 la “Valletta Rio S. Pietro” risulta in condizioni di elevato abbandono, degrado e pericolo. A
causa dello stato in cui verte la maggior parte del parco è interdetta al pubblico. Questo breve studio ha l’obbiettivo
di analizzare le principali problematiche e proporre strumenti per la loro risoluzione.
Le criticità rilevate sono di varia natura e per agilità sono state suddivise in 8 categorie:
1. Verde;
2. Strutture;
3. Staccionate;
4. Selciato;
5. Scoli;
6. Palificate ;
7. Frane;
8. Arredi.
Per meglio comprendere le attuali condizioni del parco abbiamo diversa documentazione fotografica.
1T VERDE
Come si può facilmente osservare l’intero bosco, costituito per lo più da robinie, è completamente
abbandonato a sé stesso. Le piante parassitarie quali vitalbe ed edere soffocano molti alberi, una condizione che produce
l’indebolimento e il rischio di crollo degli stessi. Molte sono le piante abbattute che intralciano sentieri e
aiuole , alcune anche di grandi dimensioni. È necessaria la loro rimozione, la pulizia di quelle infestate e
l’eventuale abbattimento di quelle gravemente compromesse.
Le condizioni del sottobosco sono altrettanto degradate e costituiscono un elevato rischio di incendi, nonché
un impedimento al raggiungimento delle varie aree.
Vaste zone risultano ricoperte di rovi.Con interventi di pulizia meccanica (decespugliatori con lame da rovo)
queste possono essere rigenerate e destinate alla coltivazione di orti o al godimento del verde.
Anche il letto del rio è invaso da piante, tronchi e residui di crolli. Materiale che potrebbe ostruire il flusso
delle acque e generare esondazioni all’intero e all’esterno del parco con la conseguente e ormai quasi
abituale conta dei danni. Il letto, una volta ripulito, va mantenuto in buono stato nel tempo.
2T STRUTTURE
Le principali strutture della Valletta sono costituite da due ponti che attraversano il rio S.Pietro.
Entrambi sono stati realizzati circa 15 anni fa con un’architettura ben congeniata ma con materiali inadatti ,
come le condizioni odierne testimoniano chiaramente. Il lamellare d’abete è un materiale molto utilizzato
anche per la costruzione di grandi strutture (tetti e tettoie di grandi magazzini, soppalchi, solai ecc..) ma
sempre da interno. E’ noto che gli agenti atmosferici fanno marcire velocemente questo materiale. Per
strutture esterne è necessario utilizzate legnami resistenti all’acqua quali castagno, larice, teak…
L’intero smantellamento dei ponti e la ricostruzione con materiali adeguati sarebbe l’operazione più
razionale ma anche la più costosa. Può essere presa in considerazione la possibilità di sostituire le parti del ponte marcite con legnami nuovi e
idonei e contemporaneamente trattare con impregnanti protettivi (trattamenti da ripetere periodicamente)
il resto della struttura. In questo modo è possibile garantire il riutilizzo e la durata dei manufatti .
3T STACCIONATE
Lungo tutto il percorso del parco il camminamento è accompagnato da staccionate di protezione.
La quasi totalità di queste sono danneggiate, marcite o crollate. Il materiale utilizzato non è adatto alla
durata all’esterno. L’intera opera va rimossa e sostituita con paleria di castagno adeguatamente trattata in
punta con catrame prima dell’interramento.
4T SELCIATO
Tutto il percorso del parco è stato realizzato con sassi affogati in colate di cemento. Per la quasi totalità,
esclusa una piccola porzione nella parte alta , il selciato è inadatto ad ogni tipo di camminata, bruscamente
sconnesso è difficilmente percorribile senza correre il rischio di farsi male. Men che meno è idoneo al footing
o altri sport. Affinché il parco possa considerarsi sicuro nel suo banale attraversamento è indispensabile
livellare la sconnessione delle pietre con altro cemento e eventualmente “ levigare “ gli spunzoni troppo
sporgenti.
5T SCOLI
La costante manutenzione dell’intero sistema di scoli del parco è la più grande garanzia a difesa dalle frane.
La pulizia di sorgenti,canali e tombini è fondamentale per irreggimentare il flusso delle acque, fra l’altro
sempre maggiore, onde evitare straripamenti e allagamenti. Attualmente, a partire dalla vasca a monte, per
continuare con i canali e le griglie fino al letto del rio la situazione è di completo abbandono. Terra e
fogliame ostruiscono gli scoli, l’acqua scorre in modo dissennato allagando aree non adibite alla raccolta
pluviale, appesantendo terreni e causando frane.
E’ necessario il ripristino dell’intero sistema e successivamente una costante e disciplinata pulizia.
6T PALIFICATE
Anche le palificazioni che sostengono molti argini del percorso del parco sono state realizzate con legnami
inadatti e attualmente parzialmente o completamente marciti. È impensabile la loro sostituzioni con tronchi
adatti all’esterno ma può esser proficuamente realizzato un intervento di piantumazione di specie arboree a
profondo radicamentocapaci di rinsaldare il terreno evitandone il prevedibile e naturale collasso.
Contemporaneamente all’ottenimento della conservazione dei terreni si arricchisce il parco di nuove piante e
colori. Lo stesso trattamento può essere riservato per gli argini danneggiati del rio.
7T FRANE
Oltre a quelle più piccole che interessano il letto del rio sono essenzialmente due le frane significative
all’interno del parco. Entrambe si trovano a ridosso del rio e presumibilmente provocate dall’erosione
dell’acqua. Interventi di ripristino delle strade crollate sono realizzabili successivamente al consolidamento
degli argini ceduti . il ripristino può avvenire tramite la costruzione di palificate in legno di castagno o di
muri in pietra con adeguati sistemi di drenaggio.
8T ARREDI
Il Parco è arredato con numerosi manufatti in legno. Panchine, tavoli, cestini sono completamente
danneggiati e marciti. È necessario rimuoverli e sostituirli con nuovi e adatti all’esterno. È possibile ,
individuando aree adatte e sicure, costruirne altri per un maggiore godimento dello spazio verde.
Anche i barbecue nella zona alta e la casetta nell’area cani necessitano di opere di ripristino e manutenzione.
Lo stesso vale per la fontana e la vasca della sorgente.
VISIONI
Per rendere il parco maggiormente apprezzabile sarebbe idoneo individuare un’area (potrebbe essere quella
a ridosso della villa o all’interno della “pista di pattinaggio”) dove costruire giochi per bambini con materiali
naturali come è diffuso nei paesi del nord Europa. Ad essi, ovviamente, vanno accompagnati arredi e fontane.
Sarebbe auspicabile anche il ripristino di tutte le attrezzature per lo sport andate perdute così come il
potenziamento delle zone di ristoro e la costruzione di un palco nella zona dell’arena per spettacoli e
concerti. Indispensabile è la riattivazione dell’illuminazione in tutto il parco.
Attraverso l’utilizzo di un biotrituratore per smaltire sfalci di erba, sramature di alberi e fogliame è possibile
destinare una zona per la produzione di compost che i contadini della Valletta potrebbero utilizzare. In
questo modo si può creare un ciclo integrato di rifiuti verdi evitando fuochi o peggio trasferimenti in
discarica.
Le potenzialità di questo parco sono lampanti. Si tratta di uno dei pochi spazi verdi urbani che conserva uno
stato naturale. Oltre che le consuete attività sociali che ordinariamente i parchi ospitano il suo
posizionamento all’interno di terreni coltivati e ben mantenuti (spalla di Coronata e orti) permettono lo
sviluppo di progetti agro-urbani di indubbio interesse culturale e sociale.
PROPOSTA OPERATIVA CONDIVISA DALLA PRO LOCO CORNIGLIANO
Per rianimare la Valletta l’idea è quella di un presidio permanente costituito da due operatori che rivestono il
poliedrico ruolo dei costruttori-manutentori e custodi del parco. Tali soggetti agiscono sette giorni su sette
divisi in due turni e in azione contemporanea quando necessario coadiuvati da un esperto di ingegneria
naturalistica che segue la realizzazione dei progetti più complessi. Gli operatori devono possedere capacità                                                    di intervento nel campo della manutenzione ordinaria e straordinaria delle aree verdi e nella costruzione di strutture in legno (falegnameria e carpenteria). E’ necessaria la messa a disposizione degli operatori di adeguate attrezzature di lavoro, di un mezzo di carico e trasporto, di uno spazio dove costruire durante tutte le giornate che non permettono il lavoro all’esterno, di
un’area coperta e sicura dove stoccare materiale da costruzione e, infine, di una zona adibita al compostaggio.
L’impiego di personale volontario è auspicabile per tutte quelle operazioni non specializzate ( e comunque
coordinate dai due operatori) ma, come dimostra l’esperienza, un’area così complessa non può essere
mantenuta solo con queste risorse.
Una volta riattivato il parco, affrontate e superate quindi tutte le criticità elencate, i due operatori
continuerebbero a occuparsi della manutenzione ordinaria e , in presenza di adeguati finanziamenti, ad
alimentare lo stesso di nuovi progetti. Ogni cosa, perché dia i suoi frutti e duri nel tempo, ha bisogno di
costante cura.

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